LEONARDO REGANO
ART CURATOR, CRITIC & HISTORIAN
SENZA CORNICE. OPERE SCELTE
Ottima idea, questa di Ginevra Grigolo di presentare una mostra costituita quasi per intero da multipli, e due sole presenze di artisti con opere originali, che lascio per maggiore competenza all’attenzione del collega Leonardo Regano. Quanto ai multipli, è per Ginevra un ritorno alle origini della sua Galleria, cui io stesso non sono stato estraneo. Infatti nei primi anni ’70 l’avevo vista al lavoro presso la Loggia, allora sita in via Castiglione, un’attività in cui pur ai suoi primi passi già dimostrava grande competenza e attenzione. Mi venne fatto allora di consigliarle di compiere senza indugi il passo inevitabile, che è per ogni garzone di bottega il mettersi, prima o poi, in proprio, ovvero, nella fattispecie, l’aprire una propria galleria. Ma come conciliare una inevitabile mancanza di fondi da investire, e invece la volontà di muoversi ad alto livello? Da qui la mia proposta, di occuparsi di multipli, ma di grandi artisti, di cui al momento non poteva sobbarcarsi gli oneri di una loro esposizione con originali. Le consigliai pure di rivolgersi per questa collaborazione a un grande collezionista milanese, Peppino Agrati, specializzato proprio in multipli dei grandi Pop artisti statunitensi. Così fu, questi furono i primi passi della nostra Ginevra, che aveva trovato la sua sede in una via del centro storico, Val d’Aposa, sbandierandone il numero civico come propria insegna. Ma poco dopo Agrati, vittima di uno dei sequestri di persona che imperversavano in quel giro d’anni, lasciò cadere il suo impegno, in qualche modo spingendo Ginevra a staccare gli ormeggi e a muoversi ormai nella serie A degli autori di grande rilievo e delle loro opere originali. Naturalmente la presenza dei capolavori “in carne e ossa” non ne escludeva una eco minoritaria, appunto attraverso i multipli, che rendevano più facile l’acquisto da parte di collezionisti di buona volontà ma di scarso potere d’acquisto. Ecco quindi questa lunga sfilata di ospiti d’onore, a costituire una multiforme enciclopedia di gusti e tendenze, diramati verso ogni direzione, dato che Ginevra non ha mai preteso di adottare una linea a senso unico, ma ha voluto esplorare il campo ad angolo giro. Si potrebbe dire che questa popolazione di lavori moltiplicati offre come un’ombra, o uno specchio dell’attività della Galleria, lunga ormai quasi mezzo secolo. Forse ci si può stupire di non trovare tracce significative di alcuni dei partecipanti più titolati tra cui l’ospite forse numero uno, Sol Lewitt, intervenuto più volte, seppure, secondo il suo tipico sistema, da lontano, e per interposti esecutori, quasi fino alla fine dei suoi giorni. E neppure del duo formidabile Marina-Ulay, ma perché di loro Gin è stata editrice in proprio dei relativi multipli, e si è tirata indietro dall’esporli, concedendo invece questo diritto a un altro ospite d’eccezione, Giulio Paolini. Beninteso ci sono tanti altri, al gran completo, a cominciare dai coniugi Anne e Patrick Poirier, con qualche loro “sudata carta”, riempita quasi di geroglifici. O ci sono le sfilate di immagini confezionate da Adriano Altamira, quasi a fare concorrenza a un wikipedia dei nostri giorni, o i frammenti archeologici di Franco Guerzoni, o qualche cancellatura di Emilio Isgrò, distribuita sul foglio “a macchia di leopardo”. Se in definitiva in queste prove anche un collezionista esitante trova da nutrire il suo gusto per opere di robusta consistenza fisica, non mancano più arcane presenze dei “concettuali”, come Alberto Garutti, o come Bruno Di Bello con le sue scomposizioni, come proporre una specie di indovinello visivo, un’immagine smembrata da ricomporre. Anche Luca Maria Patella attesta una sua presenza con qualche linea evanescente stesa su flutti equorei o aerei. Sono poi particolarmente lieto di incontrare la presenza di uno dei miei amatissimi Nuovi-nuovi, Luciano Bartolini, con una delle sue sontuose manifestazioni decorative. E così via, l’elenco potrebbe essere prolungato e arricchito ancora di tante voci, ma forse è giusto osservare come una gallerista donna abbia onorato la sua appartenenza aprendo le porte a molte colleghe nell’arte. Infatti troviamo una bella squadra di donne artiste, da Pinuccia Bernardoni a Mirta Carroli a Anna Valeria Borsari a Daniela Comani. Ci sarà da divertirsi, a compulsare questo vivente gioco dell’oca, questo animato bigliardino in cui l’occhio del visitatore può rimbalzare senza sosta da un traguardo all’altro, incitato anche a compiere un brillante esercizio di riconoscimento, sentendosi trascinato da un capo all’altro del vasto continente dell’arte, senza limiti di ordine sessuale, geografico, nazionale. Quasi una tombola tanto adatta alla stagione natalizia.
Renato Barilli
Semplicemente, senza cornice. Abbiamo scelto di presentare un nucleo di opere per quello che sono, eliminando ogni elemento che ne inquadri la visione in un ordine prestabilito. Nessun barocchismo, nessun formalismo permesso. Abbiamo scelto di infrangere una norma, una consuetudine espositiva sentita superflua in questa occasione. L’eloquenza e la loro espressività, non ha alcun bisogno di segni che le differenzino dal muro. Nessun limite, nessuna demarcazione arbitraria tra l’immagine e la non-immagine. Abbiamo composto una particolare armonia visiva, una pluralità di voci e di segni che rivendicano le forti personalità degli artisti coinvolti, le stesse che non pochi dubbi ci hanno creato nella formulazione di una lettura critica che le accomunasse. Cosa possono aver mai in comune Giulio Paolini, Franco Guerzoni, Pinuccia Bernardoni, Adriano Altamira, Alberto Garutti ed Emilio Isgrò? La risposta si è poi rivelata semplice, l’unica possibile: è la ricerca che ha mosso Ginevra Grigolo in questi quarantacinque anni di attività, come ricorda l’appassionato testo di Renato Barilli che da sempre ha seguito il suo lavoro. E chi – come chi scrive – non ha potuto vivere l’attività di Ginevra in tutte le sue fasi, ha qui l’occasione di coglierne un assaggio prezioso. E allora, perché Senza Cornice? Perché questa è il segno di una divisione, quella tra l’arte e la vita reale che in questo caso non ha alcun senso. Senza Cornice è un omaggio a chi questo limite l’ha sempre sorpassato, a Ginevra e al suo Studio G7 in cui l’arte e la vita si sono fusi in maniera inscindibile. Sul fondo, le pareti accolgono una selezione dei multipli, nella loro varietà espressiva che racconta e sintetizza gli aspetti salienti della ricerca di Ginevra, e di cui ci parla Renato Barilli nel suo testo. Ai lati, invece, il confronto si fa intimo e diretto tra gli unici due artisti presenti con opere originali: Italo Bressan e Elisabeth Hölzl. Il gesto di Bressan è improvviso e sicuro. Le sue ombre ci sottopongono a un cambio radicale di prospettiva e di visione, quasi una vertigine che riporta lo sguardo su un piano altro, oltre la bidimensionalità della carta. “L’ombra e la polvere” è una ricerca che l’artista porta avanti dalla seconda metà degli anni Duemila. Questi lavori a grafite e carboncino sono l’evoluzione di una pittura che fin dagli esordi ha sempre oscillato tra luce e ombra, caratterizzata da gettate di colore fluide, apparentemente casuali e libere di spandersi senza controllo. Bressan crea un’immagine a doppia velocità, in cui stasi e movimento si avvicendano. Egli crea un ritmo, che ci coglie e ci rapisce in modo inatteso. L’elemento ombra, reso autonomo e dinamico, non è solo una privazione della luce. Non è un dato complementare a qualcos’altro: è esso stesso visione. Queste sue macchie di buio si concretizzano in elementi possenti, diventano quasi delle rocce che si addensano nello spazio e nel tempo della visione, per liquefarsi e correre verso il basso a suggerire l’idea di una forza di gravità che non è solo quella fisica ma apre la mente a rimandi immateriali e a più sottili considerazioni. Le ombre ripartiscono il foglio in cadenze segniche, sembrano quasi simboli di un alfabeto che portano l’occhio a muoversi in orizzontale, come ingabbiato in un processo di lettura. Sulla superficie della carta Bressan alterna il bianco e il nero, il vuoto e il pieno, il lento e il veloce, in una risoluta visione di un mondo dicotomico fatto di continue alternanze, mai uguale a se stesso. Di fronte a queste ombre immateriali, le opere di Elisabeth Hölzl rivendicano la loro natura scultorea, fogli di carta, film plastici, colore e metallo con cui l’artista traspone l’interesse per installazioni ambientali transitorie ed effimere. Realizzati nel 1990, dopo quasi trent’anni sono esposti per la prima volta – come d’altronde anche le opere di Bressan – come se il tempo non li avesse mai segnati, così forti e lirici, così attuali a dimostrazione di un’intuizione giusta e della raffinatezza senza tempo che contraddistingue l’intera opera di Elisabeth Hölzl. Dal confronto con lo spazio architettonico, l’artista preleva oggetti, cromie, forme e suggestioni per le sue installazioni, traducendoli in astrazioni autonome, in ritmi meccanoformi dal vago ricordo costruttivista. Sulla carta si dispongono strati di materiale, campiture di colore, lacerazioni che ricostruiscono la traccia della sua indagine nello spazio. La memoria del vissuto si imprime nel gesto conferito sulla carta, nel ritmo della partizione geometrica, nella sovrapposizione di colore e materia. L’altro elemento centrale nella ricerca di Hölzl è l’alternanza tra opacità e trasparenza in un gioco in cui la luce è definita come il vero e proprio elemento plastico della composizione. Un interesse, questo, che nel tempo l’ha condotta verso un uso quasi esclusivo del mezzo fotografico. Luce e assenza di luce: le opere di Bressan e Hölzl si guardano a distanza e si comprendono; intessono un dialogo e un confronto tra loro in cui ci troviamo inconsapevolmente coinvolti. Sono lavori forti, suggestivi e senza bisogno di altri elementi a sostenerli. Senza orpelli e senza ritocchi per enfatizzarne la visione. Sono lavori che gridano il loro valore, in fondo, anche se esposti così, semplicemente, senza cornice.
Leonardo Regano