top of page

Di fronte a una realtà che conquista gradualmente la consapevolezza partendo da una unità indifferenziata la ragione incontra non poche difficoltà. Ma ciò che non può essere rappresentato dalla filosofia razionale può essere rappresentato dall'arte: l'artista riesce a rendere visibile lo Spirito che è nascosto nella materia; inoltre, mentre la riflessione filosofica mantiene aperta la separazione fra il soggetto e l'oggetto, l'intuizione estetica e l'opera d'arte annullano definitivamente quella separazione. L'arte può diventare quindi organo della conoscenza filosofica dell'Assoluto.

 

F. W. J. Schelling

Nuovi Sciamani? 

Sulla scorta di un’intuizione che fu già di Marcel Duchamp, alla metà degli Sessanta Joseph Beuys si è fatto interprete di un nuovo incontro tra arte e vita. Attraverso l’azione performativa e la ricerca su materiali, egli ha recuperato la via indicata da Schelling riproponendo l’intuizione estetica e l’opera d’arte come realtà capaci di condurre alla conoscenza dell’Assoluto, di mettere in evidenza lo Spirito presente in tutto ciò che ci circonda. Beuys è stato il primo grande artista-sciamano moderno che ha messo in atto nella sua pratica rituali terapeutici e religiosi, facendone immagine di una personale aspirazione al sacro. Quanto questo approccio sia stato da lezione per chi è venuto dopo di lui l’abbiamo potuto cogliere anche nella passata edizione della Biennale di Venezia in cui Christine Macel ha dedicato uno dei nove Trans-Padiglioni di Viva Arte Viva proprio al rapporto tra arte e sciamanesimo.

     La figura dell’artista come guaritore e mediatore tra l’uomo e il sacro contenuto nella natura è dunque al centro di una riflessione continua e imprescindibile per il pensiero e per l’estetica contemporanea. Un confronto con il divino a tal punto sentito e personificato che ci porta a interrogarci sulla nascita di una nuova forma di spiritualità veicolata dall’artista/profeta. Le nevrosi dell’uomo moderno trovano conforto nell’azione del singolo che si eleva a guida spirituale capace di indicare una via di uscita dal dolore collettivo, una strada per giunta semplice e percorribile, misurata sulle possibilità umane. Il modello è quello indicato da Max Freedom Long nelle sue rielaborazioni del mito dei Kahuna. Lo studioso americano stabilisce un cambiamento di questa antica cultura polinesiana che da una ritualità sciamanica, violenta e magica, diviene modello per una spiritualità prêt-à-porter che sarà la base per la futura New Age. Una spiritualità, questa, paradigma di una società contemporanea incapace di gestire il dolore, il sacrificio, la paura. L’uomo ha preferito edulcorare la verità del sacro piuttosto che subirla, ha scelto di redimerla da quanto di terribile essa inevitabilmente porta con sé. La Nuova Era della spiritualità ha portato luce e gioia laddove prima c’erano anche buio e sofferenza.

   L’artista che si pone come sciamano partecipa a questo addomesticamento del sacro. Lo reclama o lo denuncia. Ma in ogni modo se ne fa interprete. Egli riafferma il suo ruolo rivelatore della congiunzione tra Spirito e materia. Ma può davvero l’artista essere in grado di indicare una via d’uscita dalla crisi spirituale dell’uomo contemporaneo? E quest’ultimo può davvero accontentarsi di una spiritualità che non sia diretta emanazione del divino ma sia pensata da lui stesso, a sua immagine e somiglianza?

   L’ossessione scientifica ci ha reso incapaci di sostenere il peso di una realtà non dimostrabile. Domiamo le nostre pulsioni naturali e razionalizziamo ogni aspetto della nostra esistenza. L’artista, in contrapposizione, ha scelto di confrontarsi con l’indomabile e il non misurabile. Gli elementi primari, la fluidità, il caso: egli ci ha regalato una via d’uscita da questa rigidità, rendendo nella sua pratica manifesta la mancanza di una logica comprensibile in ciò che regola la natura e tutto ciò che lo circonda.

   Forse la strada giusta è quella intuita da Long. Forse come i suoi Kahuna dobbiamo imparare a guardare il mondo e connetterci solo con quanto di umano esso può contenere. Il resto è solo caos e forze che non potremo mai controllare. Forze che la nostra mente ci porterà sempre a guardare e temere, e il compito dell’arte, allora, sarà proprio quello di aiutarci a viverle oltre i nostri limiti umani.

 

 

Leonardo Regano

 New Shamans? 


​Following an intuition by Marcel Duchamp, in the mid-Sixties Joseph Beuys became an exponent  of a new meeting point between art and life. Through performative action and materials research, he resumed the path started by Schelling, reviving the aesthetical intuition and artwork as means of approaching the knowledge of the Absolute, highlighting the Spirit present in everything that surrounds us. Beuys was the first modern artist-shaman to perform therapeutic and religious rituals, turning them into metaphors for his personal aspiration to the sacred. 

​The figure of the artist as a healer and a mediator between humanity and the sacred intrinsic to nature is the central point of a constant reflection, which is essential to contemporary thought and aesthetics. The confrontation with the divine is so heartfelt and personified that we start interrogating ourselves on a new form of spirituality conveyed by the artist/prophet. Modern man’s neuroses find comfort in the action of the individuals that appoint themselves as spiritual guides, capable of pointing the way out of collective suffering, a path which is viable for everyone. The model is the one suggested by Max Freedom Long in his revisiting of the Kahuna mythology. Long turns this ancient Polynesian culture’s violent, magical shaman rituality into a template for the prêt-à-porter spirituality which would pave the way to the New Age. A spirituality, this one, paradigmatic of a contemporary society which is incapable of dealing with pain, sacrifice, fear. Humankind would rather dilute the truth of the sacred rather than endure it, and has chosen to redeem it from anything terrible it inevitably brings along. The New Age of spirituality brought light and joy where there once were darkness and suffering.

The artists who present themselves as shamans take part into this domestication of the sacred. They reaffirm their role as revelators of the connection between the Spirit and the matter. Is the artist actually capable to show a way out of the spiritual crisis of the contemporary man? And can the latter be satisfied with a spirituality that doesn’t come from the divine, but is a product of his own mind, in his own image?

​Our obsession with science has made us unable to carry the weight of a reality which is not demonstrable. We quell our natural impulses and rationalise every aspect of our existence. The artists, on the other hand, have chosen to measure themselves with the untameable and the unfathomable. The primary elements , fluidity, chaos: they are giving us a way out of this rigidity, revealing the lack of any understandable logic regulating nature and everything that surrounds us.

Perhaps the right way is the one suggested by Long. Perhaps we should learn to look at the world and connect with whatever human elements it might hide, just like his Kahunas do. Everything else is chaos, and forces beyond our control. Forces our mind can only look at in fear, while art can help us face them in spite of our human limits.

bottom of page