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SÉGNICA

Piante che salgono e si arrampicano impetuose. Germogli che si stagliano con forza, liberi di venir fuori da un fondo scuro e incerto. Grovigli di fronde che rivendicando la loro presenza e il loro essere nel mondo. Arbusti frementi, saldi in un intreccio che li nutre e li fortifica in un mondo privo di altre forme di vita. Con la sua pittura, Giulia Dall’Olio ci proietta in un paradiso perduto, in un eden proibito e misterioso in cui il dato vegetale allontana invece che accogliere colui che vi transita. Esse sono lì, lasciate libere di crescere senza alcuna imposizione, senza vincoli od ostacoli per la loro espansione. Invano ci sforziamo in una visione che è respinta oltre la superficie, occultata da un ordito di tralci e cespugli, per poi affondare nel nero di una dimensione sconosciuta, opaca e viscosa che ingloba lo spazio attorno. In questa profondità l’occhio si perde e lo sguardo è inglobato all’interno di corpi scuri e magmatici, prigioniero di un moltiplicarsi dei dettagli che lo catturano e lo conducono a perdersi in un gioco di rimandi senza fine. Proprio come questi oscillanti percorsi di crescita vegetale, l’arte di Giulia Dall’Olio è in una continua
evoluzione, alla ricerca di nuove forme di espressione. Lo si coglie bene in Ségnica, dove l’artista presenta un inedito ciclo di opere su carta che aprono la sua pratica a un nuovo corso, mostrandoci un lavoro ormai maturo, consapevole e padrone del gesto pittorico.
Alla tela si è sostituita la carta così come le cromie accese dell’olio sono state rimpiazzate dal torvo del carboncino che ricopre quasi l’intero foglio. Le incisioni e le colate materiche ora si tramutano in cancellature e piccole venature colorate a pastello, intrusioni segniche
che conducono la visione verso punti indefiniti dell’opera. Da disturbi e interferenze per lo sguardo, metafora di una natura violentata dall’azione antropica, queste nuove linee si mostrano come rassicuranti tracce in un percorso di fuga dalla oscurità e profondità del nero dominante. Ma se segno e tecnica mutano, non cambia l’interesse per il soggetto. Fin dalle sue prime sperimentazioni, Giulia Dall’Olio è sempre stata coerente a una figuratività innestata sul dato vegetale, pur declinata con forme e ritmi diversi. L’ispirazione, l’ha tratta dalla grande tradizione della storia dell’arte, dalle stanze affrescate del Settecento bolognese, dalla Boschereccia di Rodolfo Fantuzzi a Palazzo Hercolani, dai maestri del rinascimento francese e olandese. Ma non è solo un confronto con la storia dell’arte che traspare dalle sue opere. In questo suo continuo ritorno sul tema, è lecito interrogarsi sul senso intimo che la natura riveste per Giulia. Nel dialogo che portiamo avanti da anni come
curatore e artista, non ho mai trovato una risposta univoca. Ho sempre colto significati molteplici, declinati di volta in volta in visioni che ho poi letto come specchio del suo stato d’animo. La natura è per lei il segno di una ricerca sullo spirituale che non ha forme precise ma che è lì, presente e insita nelle sue riflessioni, continuamente mutevole e in evoluzione. Il trascendentalismo americano di Thoreau ed Emerson nutre il suo lavoro conferendo autorevolezza a questa personale mistica in cui il dato vegetale si fa portatore di un contatto con il divino e con l’oltre-umano. I paesaggi di Giulia Dall’Olio vanno intesi come 
immagine di un’anima primordiale, personale e allo stesso tempo collettiva. La loro
tracciatura su tela è per lei un vero e proprio esercizio di riconnessione con il Sé più profondo, un atto di immersione ontologica nel mondo circostante. La sua riflessione sul dato vegetale è un modo per “essere-nel-mondo che è immediatamente cosmogonico” citando un’espressione del filosofo Emanuele Coccia che trovo estremamente inerente per delineare il lavoro di Giulia dall’Olio. Ogni essere vivente fa parte della stessa materia dell’ambiente in cui è inserito. Come scrive Coccia, «essere-nel-mondo significa necessariamente fare mondo: ogni attività dei viventi è un atto di design nella carne viva del mondo». Traendo le fila di questo discorso, nel suo immaginario il dato vegetale è allora la carne viva di un mondo che non si arrende e che combatte contro l’azione distruttiva umana. Ma anche un mondo che non presenta ma rappresenta l’uomo stesso, a partire dalla stessa Dall’Olio. Non si sbaglia, quindi, nel vedere queste opere come dichiarazioni del proprio Io ritratto in forma anonima e astratta, urla silenziose di un’esistenza che non è mai mostrata ma resta comunque presente in queste forme intricate e rigogliose. Non è un caso se la vegetazione che Giulia Dall’Olio dipinge è quella della sua terra, della Pianura padana, dell’Appennino bolognese, della vegetazione che segna il tracciato della via Emilia che percorre ogni giorno. E anche quello strano titolo che da sempre le accompagna, una sigla che riporta l’indicazione di un personalissimo inventario con il quale Giulia tiene traccia della intera produzione, ne è prova di questo dipingere se stessa attraverso le piante.

 

 

SÉGNICA

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